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        II - IL METODO È FONDAMENTALE PER L'ESPERIENZA

L'essere perviene alla Dimensione umana per sperimentare ciò che gli manca: senza entrare nel merito di quale sia l’origine della pulsione a manifestarsi, è facile constatare in se stessi l’incompletezza o quantomeno un non meglio identificato desiderio di soddisfazione. Durante l'esistenza terrena, l'uomo è impegnato a realizzare ciò che la sua stessa natura gli suggerisce, e cerca di farlo in modo esaustivo, cioè vivendo le situazioni fino ad esaurirle: i ripetuti tentativi in tal senso formano le esperienze. Ripetere un'esperienza, come spesso accade, è il segno evidente della sua incompletezza, così come la fame è il sintomo di un pasto insufficiente o nella quantità o nella qualità. La convinzione più diffusa sull'argomento vede invece l'esperienza come fonte di insegnamento, come se lo scopo ultimo dell'esistenza fosse quello di acquisire i parametri chiave del "comportarsi bene" relativamente all'etica corrente. Questo è profondamente inesatto, tant'è che l'uomo ripete sempre, era dopo era, gli stessi errori. L'esperienza è soltanto uno scambio energetico senza proprietà migliorative, poiché in se stessa la vita non ha un significato da perseguire o un perché da scoprire: la medesima esperienza può considerarsi buona o cattiva, valida o superflua, ecc. a seconda di chi la compie o del contesto in cui viene compiuta. Dal punto di vista del metodo, un'esperienza è positiva quando si conclude senza conti in sospeso, ovvero quando nel suo complesso soddisfa l'anelito che ha generato l'impulso a viverla: solo la comprensione dei propri veri movimenti interiori dà la possibilità di capire lo stato attuale di un'esperienza e quindi il Metodo risulta un prezioso strumento evolutivo. Ogni individuo tende infatti a completare a caso le esperienze che l’esistenza gli presenta, sentendo vagamente la possibilità di reintegrarsi in uno stato di perfezione originaria dove il desiderio sia finalmente sopito: esaurire un'esperienza, cioè comprenderla e padroneggiarla perfettamente, dà la sensazione di avere salito un gradino verso la comprensione della natura universale. Il Metodo è un Sistema efficiente per rendere completa un'esperienza nel volgere del minor numero possibile di tentativi. Per applicare il Metodo la concezione odierna della realtà oggettiva come esterna all’individuo e intrinsecamente stabile è inadeguata. E' più utile immaginare una sostanza omnipervadente, un’energia che è anche spazio fisico, vita e materia insieme: gli elementi grossolani sono forme condensate di questa sostanza, un essere vivente ne è una condensazione maggiore, un essere senziente un'altra ancora più intensa. In altre parole una visione olistica, come quella proposta dalla fisica contemporanea, che non trova soluzione di continuità fra gli atomi che formano un corpo e quelli contigui dell’aria che lo circonda, aiuta a superare la sensazione di essere isolati dal resto dell’universo. Per chiarire il modo in cui si formano gli esseri e lo svolgersi delle loro esperienze, possiamo servirci di una metafora. Si immagini una grande superficie d'acqua su cui galleggiano innumerevoli petali di fiori. Il vento, lo scambio termico e altre cause concomitanti creano correnti e formano vortici. I petali si incanalano in questi movimenti, dando origine a figure, come un fiore o altro; queste figure si incontrano con altre e le modificano, o ne sono modificate. L'essere è una di queste figure che si condensano nello spazio. Gli elementi che si sono aggregati per darvi origine, sia fisici sia psichici, si combinano, variando istante per istante la forma che si è originata, finché un qualunque fattore definitivo interviene a sciogliere completamente la figura. Questo momento è chiamato morte. Da questo punto in poi gli elementi costitutivi ritornano nello spazio e si ricombinano per dare origine a ulteriori forme. Tutti gli esseri senzienti, in misura diversa, possiedono mezzi propri per interagire con la cosiddetta “realtà esteriore”: i sensi. Nell’uomo esistono però capacità percettive quasi peculiari, cioè: - il riconoscimento dell’essere individuale o autoconsapevolezza (aham-kara, cioè sentimento di essere o Io-sono); - e soprattutto, la facoltà di cogliere il Sé (atman). Si può dire che l'uomo sia dotato, almeno in potenza, di una capacità superiore della mente che gli permette di supervisionare gli eventi dentro e fuori di sé, come se non vi fosse coinvolto. L'analisi della natura del Sé è un argomento classico di speculazione all’interno della filosofia e della religione, quindi non lo tratteremo in questo contesto. Useremo però alcuni termini propri della Tradizione Tantrica sia per brevità, sia perché non esistono equivalenti nella lingua italiana. Il concetto di Atman come scintilla di superiore consapevolezza presente nell’uomo è complementare a quella di Brahman. Con questo termine si intende una sorta di coscienza collettiva che abita l’intero universo, impersonale (fato) o personale (Dio), che l’uomo in qualche modo avverte come reale e a cui dà un’etichetta, in modo da collocare il particolare in un ambito più generale. Lo sforzo di dare un volto al Brahman è sovrumano, poiché la mente discriminante (manas) è inadatta a concepire e manipolare astrazioni quali l’infinito, il vuoto, l’assoluto etc. Per fare questo occorrono altri organi di natura non meccanica (buddhi, la mente intuitiva), che è presente spesso solo allo stato embrionale. Lo scambio di energie derivante dalle esperienze non modifica in nessuna misura il Sé, ma la coscienza del Sé può modificare i significati attribuiti all’esperienza in modo sostanziale. Lo svolgersi delle esperienze risponde in grandissima parte a meccanismi legati alla sfera istintiva, emotiva e mentale, che si producono automaticamente. La legge di causa-effetto governa infatti le azioni a partire dai condizionamenti e dagli effetti delle azioni compiute in precedenza (Karma). La classificazione continua che il manas (mente discriminante) opera sulla realtà è soggettiva, cioè vincolata da significati predeterminat. Ognuno vede ciò che vuole vedere e non vede ciò che non vuole vedere, allo scopo di proteggere l’Io (aham-kara), l’aggregato energetico e la rappresentazione mentale che convenzionalmente si associa (e/o altri associano) a se stessi. L’Io è composto dal senso di esistere, da un corpo, dalle tendenze caratteriali (temperamento), da una serie di idee fisse e da un’etichetta: quando ci si presenta a qualcuno, si evidenziano le caratteristiche pubbliche dell’Io (il corpo, nome e cognome) per poi passare a quelle private (il lavoro, la famiglia) e se occorre a quelle intime (i sentimenti, le idee, ecc.). Normalmente le esperienze si sviluppano come interazioni fra l’Io e tutto ciò che non è l’Io. Il dolore è frutto di una necessaria modificazione dell’Io che rifiuta il cambiamento o semplicemente è incapace di integrarlo senza danni. Più tempo si impiega per risistemare l’Io, più si soffre, più elastico è l’Io, più velocemente si ritorna alla serenità interiore. Se poi si ha coscienza dell’atman, il processo diventa assai rapido e la sofferenza si attenua quasi fino a sparire. Il Metodo espande l’Io e lo conduce alle soglie del Sé dove, volendo, si può proseguire con tecniche più sofisticate.

ESERCIZIO Descrivere un evento della propria vita che rappresenta un'esperienza periodicamente ricorrente. Inizialmente può essere più facile osservare il fenomeno della ripetitività negli altri.

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